Gli allevamenti, specie quelli intensivi, restano ancora al centro del dibattito quando si parla del loro impatto ambientale e delle loro emissioni. Non tutti i dati che vengono diffusi sono però aggiornati e quindi attendibili, come ad esempio quelli relativi ai reflui azotati provenienti dagli allevamenti. Come vengono utilizzati? Quante sono le reali emissioni? Vediamo assieme i nuovi dati.
I reflui zootecnici, in particolare quelli derivanti dalle attività intensive e concentrate in aree ristrette del Paese, hanno rappresentato storicamente una fonte di preoccupazione ambientale soprattutto per il carico azotato sotto tre aspetti:
la volatilizzazione dell’N sotto forma di ammoniaca che contribuisce alla formazione del particolato sottile (PM10 e, limitatamente, PM2,5);
la volatilizzazione della forma ossidata N2O che rappresenta un potente gas climalterante;
la nitrificazione dell’N di spandimento dei liquami nei terreni che crea carici eutrofizzanti nei corpi idrici.
La Direttiva Nitrati del 1991 applicata all’Italia ha comportato un deciso miglioramento dei problemi su elencati, sorti nei decenni precedenti, senza tuttavia venire a capo di tutti gli aspetti in gioco, il che ha portato la Commissione a notificare una infrazione al nostro Paese per il periodo 2016-19 legata a mancato monitoraggio e incompleta individuazione delle zone sensibili.
Va inoltre ricordato che il problema dell’N riguarda anche le concimazioni chimiche e, in parte limitata, l’azoto-fissazione delle leguminose.
Tuttavia, il netto miglioramento delle condizioni generali è testimoniato dal trend positivo delle emissioni di NH3, correlate strettamente a quelle delle altre due categorie, certificate da ISPRA (vedi grafico figura 1)
Figura 1 – Emissioni di ammoniaca in Italia (ISPRA, 2019; https://annuario.isprambiente.it/sys_ind/159)
La condizione del monitoraggio del MTE rileva però ancora un percentuale importante di acque sotterranee con limite superiore ai 40mg/L di NO3 (figura 2), mentre quella delle acque superficiali appare migliore (figura 3) [https://ambientenonsolo.com/la-presenza-dei-nitrati-nelle-acque/ ].
Due nuove situazioni ribaltano il problema degli effluenti azotati degli allevamenti in opportunità:
la strategia europea Farm to Fork, che pone l’agricoltura circolare e rigenerativa al centro della sostenibilità ambientale del settore agroalimentare, anche attraverso il recupero e riciclo dei nutrienti e la riduzione dell’uso dei fertilizzanti di sintesi, e fissa nel 25% delle superfici agricole a biologico uno degli obiettivi;
la guerra della Federazione Russa in Ucraina, con conseguente blocco dell’export di concimi azotati di cui la prima è la maggiore produttrice al mondo;
la crisi energetica, che impone da un lato la generazione di biogas da tutte le biomasse possibili, fra le quali le deiezioni degli allevamenti sono fra le più importanti, e dall’altro la riduzione della produzione di azoto chimico il cui processo industriale è particolarmente energivoro;
la riduzione delle emissioni di gas climalteranti, dei quali l’N di sintesi per la fertilizzazione rappresenta una quota rilevante per tutto il settore agricolo.
Figura 2:
Figura 3:
Ciò significa che, rispetto al 2019, la nuova situazione impone all’Italia di adottare una strategia per la quale “non un kg di N inserito nel settore agro-zootecnico deve andare perso” né un kg di biomassa potenzialmente utile per la produzione energetica va sprecata. Con l’avvertenza che la cascata di valore delle biomasse agroalimentari deve essere rispettata destinandole primariamente alla produzione mangimistica.
La diffusione capillare di biodigestori renderebbe perciò possibili diverse “esternalità” positive delle aziende zootecniche, oltre a quelle energetiche già accennate, producendo digestati con N meno mobile nel terreno, abbattendo gli odori sgradevoli derivanti dallo spandimento dei liquami e limitando la volatilizzazione delle forme di N.
La potenzialità di messa a terra azotata, per tonnellata di peso corporeo allevato, già depurata della volatilizzazione dell’N, è riportata qui di seguito (fonte, Matteo Crovetto, Com. Pers.):
Scrofa con lattoni (30 kg PV): 101 kg/anno
Suini all’ingrasso (30-165 kg PV): 110 kg/anno
Vacche da latte (600 kg PV): 138 kg/anno
Rimonta vacche (300 kg PV): 120 kg/anno
Vitelloni (ristalli, 350-630 kg PV): 84 kg/anno
Vitelli a carne bianca (60-260 kg PV): 67 kg N/anno
Polli da carne: 250 kg N/anno
Tacchini: 167 kg N/anno
Galline ovaiole: 230 kg/anno
Pollastre: 328 kg/anno
Fonti:
L'articolo è stato riadattato dalle "Brevi note" del Professor Giuseppe Pulina, Università di Sassari
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